Storie

Ricordando

Si amici miei, scriverò di me, di quel mio vivere senza tempo, senza alcuna direzione, che ha caratterizzato gli ultimi anni della mia vita.
Anni difficili, fustellati da continui ricoveri, terapie debilitanti e da un’immensa solitudine. Solitudine a volte cercata e voluta dame stessa in alcuni momenti, quando cioè pareva che niente avesse più senso, motivo d’esserci e di essere vissuto, con i giorni che scorrevano via tutti uguali, anestetizzati da tutto quanto potesse rasserenare in qualche modo il mio vivere sonnambula dietro il fondale del palcoscenico della vita.
Solo ora esco dai silenzi che mi avvolgevano e dilaniavano, dal disagio di non riuscire a comunicare ciò che dentro rodeva, che faceva male e induriva il cuore.
Non è stato semplice tirarmi fuori da una situazione di questo tipo, fare i conti con me stessa, con la paura di accettare e convivere con limiti e debolezze.
Ho navigato a vela piuttosto che a motore, un viaggio introspettivo lungo e non privo di ostacoli, alla ricerca dell’isola della consapevolezza a cui non ero mai effettivamente approdata, per poter ritrovare la realtà del vero sentire ed essere, della mia grandezza.
Ed ora il viaggio è terminato, eccomi qui, ammaccata, tremolante, ma pronta ad offrire ancora il viso alla brezza calda della speranza, per l’inizio di un nuovo periodo di vita, più autentico, caratterizzato ora dal “si può fare” in antitesi con la disabilità permanente.

Perché sentirmi inadeguata in mezzo alle persone? Mi sono chiesta durante il viaggio, perché non poter andare oltre i limiti dell’handicap? Certe esperienze possono diventare un profondo strumento di crescita se si ha l’accortezza di mettere in discussione i vecchi concetti del “dover subire come ineluttabile, l’esperienza malattia” e in primis ovviamente se stessi. Per cambiare e migliorare una qualità di vita che non soddisfa quel bisogno di sentirsi comunque utile, e poter costruire un progetto di vita.
La nostra società non ci viene incontro, è ancora chiusa alla disabilità. Fa discriminazione, impone limiti, affinché ci si possa sentire “persone attive” come chiunque altro, quindi il primo passo tocca a noi farlo che ci pieghiamo senza mai spezzarci.

Non si è diversi dagli amici normodotati, dalle persone che si incontrano per strada, siamo come loro, forse con una vita leggermente incasinata, ma con la medesima voglia di soddisfazioni e gioie. Piccoli dettagli della quotidianità, grandi conquiste per se stessi. Ci si sente così ricreati per una vita più autentica, di giusti valori, quando il dolore si trasforma in forza, quando si ha la volontà di ricominciare sempre, ad ogni istante.
E non sai quanti arcobaleni di pensieri ed equazioni di sorrisi ho potuto trovare risalendo la china, con nel cassetto il sogno più importante, da realizzare.
VIVERE! Sta lì che vengo, vita!

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